I Capolavori del Cinema:
“Apocalypse Now”
Quest’opera cinematografica,
definita “capolavoro intramontabile”, ha una sua caratteristica ben precisa che
deriva dall’idea di fondo che ha ispirato il regista. Alla fine, l’idea,
divenuta filo conduttore dell’opera, genera quel vigore necessario alla
sceneggiatura, alla struttura interna della narrazione, fino a governare quel
momento decisivo che è l’esecuzione del montaggio, momento in cui l’opera
acquista un senso e definisce nelle sequenze la compiutezza della costruzione
del messaggio. In tutto questo, non avviene altro che la fusione in un unico
concetto di due elementi molto diversi, che hanno determinato la realizzazione
dell’opera: l’immaginazione, che appartiene all’idea spontanea e ingovernabile,
e la metodologia di scrittura filmica, che regolarizza l’opera e la realizza
nella concretezza.
“Apocalypse Now” (1979),
diretto da Francis Ford Coppola, uno dei più grandi registi hollywoodiani, è
un’epica rappresentazione della guerra del Vietnam, vagamente ispirata al
romanzo di Conrad “Cuore di tenebra”, in cui i fatti bellici acquistano la
dimensione di una grande metafora della vita umana e delle sue contraddizioni.
La realizzazione del film è
nata da un’idea comune di due famosi sceneggiatori americani: John Milius e
George Lucas.
Quest’opera di Coppola, che
ha impiegato ben tre anni per realizzarla, appartiene ad un periodo di grande
rinascita del cinema americano. Ricordiamo che la produzione cinematografica
americana di quegli anni deriva da un decennio drammatico che va dalla
contestazione di Berkeley alla fine della guerra del Vietnam, passando per
l’esperienza hippie, nonché per le lotte antirazziste, la crescita della
cultura underground, e di conseguenza il momento fu favorevole allo sviluppo di
un cinema di forte impegno sociale.
E così, a partire dagli anni
settanta la fucina cinematografica Hollywoodiana si ripresenta, dopo una fase
che possiamo definire di crisi, sul mercato nazionale ed internazionale con
opere cinematografiche stimolanti e socialmente vive, tanto da poter essere
considerate validi mezzi di riproduzione o di trasformazione della realtà
fenomenica.
Ed è appunto in queste
circostanze sociali e politiche che nasce “Apocalypse Now”, film di denuncia,
provocatorio, spettacolare, che lascia trapelare una particolare riflessione
sui comportamenti umani.
Coppola, con “Apocalypse
Now”, ha realizzato un’opera che nella sua spettacolarità, coniuga la
particolare realtà legata al dinamismo dell’orchestrazione dei conflitti
bellici con gli elementi costitutivi della natura umana artefice della guerra
stessa, delle catastrofi umane.
Ed è proprio sulla base di
questo concetto che “Apocalypse Now” può essere definito un capolavoro, un
documento della storia del cinema, un’opera d’arte. Se definiamo opera d’arte
qualcosa che si presta continuamente nel tempo ad essere interpretata, poiché
stimolo di sensazioni, emozioni, idee, non sbagliamo nel considerare tale un
film come “Apocalypse Now”.
Con uno scenario
apocalittico di guerra, che ripropone un periodo molto triste della storia
americana: Vietnam anno terzo, il film invia il suo messaggio ruotando intorno
alla figura del capitano Willard (Martin Sheen), e alla diabolico-divinatoria
presenza umana del colonnello Kurtz (Marlon Brando).
Benjamin Willard, capitano
dell’esercito americano, è inviato ai confini della Cambogia per una missione
segreta: uccidere il folle colonnello dell’esercito americano Walter Kurtz,
perché sottrattosi ai comandi dell’esercito, si è autoproclamato dittatore di
un villaggio della Cambogia.
Il viaggio lungo il fiume
per Willard rappresenta un viaggio nella sua anima, una presa di coscienza
degli orrori, dei dubbi, delle inutilità e delle gratuità che l’orchestrazione
di uno spazio bellico comporta.
In guerra la mente umana
cambia rotta: dal pensiero coerente e utilmente finalizzato, l’uomo raggiunge
il delirio, la liceità di ogni sorta di nefandezza come gli stermini in massa
di civili, crudeltà mai contemplate in altri momenti. Willard compie un viaggio
nell’incubo, nella follia, entra in contatto con ogni sorta di animalità umana.
E’ sua la voce narrante del film, come uno specchio implacabile che riflette
l’altra faccia dell’io umano e fa comprendere cosa sia capace di fare in
condizioni di totale liceità, come succede in guerra, in tutte le guerre.
Il punto focale del film è,
però, il compimento della missione di Willard, ossia l’incontro faccia a faccia
con il volto dell’orrore, l’impersonificazione del male, la barbarie, le
tenebre: il colonnello Kurtz.
Ed è qui che viene fuori la
grandezza del film, espressa nell’ibridezza di una narrazione che sintetizza
alcuni dei generi filmici più importanti, dal bellico al noir, all’horror, fino
al western e al documentario, reinventando attraverso un duplice processo la
fiction, e la fiction tramite il mito. Si, perché Coppola, come vedremo, si
avvale del mito nella caratterizzazione dell’emblematico personaggio di Kurtz.
Siamo di fronte ad una vera
sintesi antropologica- visuale.
La ricerca da parte di
Coppola di fonti culturali che sostenessero il filo conduttore su una
narrazione che apertamente ponesse una critica alla cultura occidentale, e
quindi alla civiltà dell’occidente, si attua con precisi riferimenti a testi di
letteratura noti.
L’attraversamento del fiume
asiatico in barca, da parte di Willard, è un chiaro riferimento al romanzo di
Conrad “Cuore di tenebra”, pre-testo letterario del film, da cui ha tratto
l’idea rappresentativa della discesa agli inferi e la spettacolarizzazione
delle atrocità della guerra del Vietnam. Ma, anche l’opera di Nietzsche “Così
parlò Zarathustra” nella sua concezione del “Superuomo” che si lega a
sentimenti terreni, e “la Terra desolata” di Eliot nella sua tematica sulla
disgregazione del genere umano attraverso il rigetto del bene, sono altrettanto
visibili come riferimenti letterari.
Nel momento in cui Willard approda sull’isola tiranneggiata
dal colonnello Kurtz, non sa se si trova sprofondato nell’inferno o qualcosa di
simile. Una voce, sulla terra ferma, attira la sua attenzione: è un americano,
reporter, che diventa mediatore tra Willard e Kurtz.
Il riferimento di queste scene a costrutti mitologici è
palese. Coppola ha chiaramente chiamato in causa l’opera di Frazer “Il ramo
d’oro” (tanto da inquadrare fugacemente il testo letterario nel finale!),
proponendo nella fiction il rito della successione al potere del re-sacerdote.
Sconvolgente la scena che
mostra in contemporanea il massacro del toro, ritualità sacrificale indigena,
ed il massacro di Kurtz per mano di Willard, “Nulla potrà impedire all’uomo-Dio
di invecchiare, indebolirsi ed infine morire” (James Frazer, Il ramo d’oro,
pag. 309, Newton, 1992)
Willard compie la sua
missione, uccide Kurtz, da lui atteso, per conquistare una sorta di
purificazione per le crudeltà commesse. “Orrore, Orrore”, ultime parole da lui
pronunciate prima di essere massacrato dalla falce stretta nelle mani di
Willard.
E Willard, compiuto il rito
dell’uccisione del colonnello Kurtz, sa che l’inferno non è molto dissimile da
quel luogo, ma percepisce una verità scioccante: la barbarie umana è il
prodotto della civiltà. Il pericolo non è nella natura, nella sua
contrapposizione di luce e tenebre, ma il grande pericolo è nell’uomo stesso,
che governa il potere sugli altri, e nella bramosia di terre da colonizzare ha
trasformato la civiltà in barbarie, perdendo il senso vero e sublime del
sentimento, del rispetto dell’uomo verso l’uomo, dell’essere “civile” nei
confronti del selvaggio, attribuendogli, di comodo, quel “male” che non ha. E’
Kurtz la rappresentazione più infernale e apocalittica della civiltà! Ma
Willard e Kurtz non sono molto dissimili. L’uno uccide sempre per la conquista
del potere, magari al suono sconvolgente della “Cavalcata delle Walkirie”,
inventandosi una morale di comodo. E l’altro, Dio supremo di una violenza
sanguinaria e feroce per sete di un potere unico e assoluto, affida la
successione della “divinità” a colui che gli si scaglierà contro per
infliggergli il colpo mortale.
Coppola non fa trasparire
alcun giudizio su comportamenti giusti o sbagliati. Egli prospetta i fatti così
come sono, le persone sono caratterizzate dalla loro storia “umana”. La
riflessione sulla ricerca di una possibilità per fermare il “progresso della
civiltà” forse viene spontanea.
E’ l’inizio del film che
purtroppo dà una risposta, aprendo con l’indimenticabile canzone dei Doors:
“The End”. Rosalinda Gaudiano
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