sabato 14 gennaio 2012

Apocalypse now


I Capolavori del Cinema: “Apocalypse Now”


Quest’opera cinematografica, definita “capolavoro intramontabile”, ha una sua caratteristica ben precisa che deriva dall’idea di fondo che ha ispirato il regista. Alla fine, l’idea, divenuta filo conduttore dell’opera, genera quel vigore necessario alla sceneggiatura, alla struttura interna della narrazione, fino a governare quel momento decisivo che è l’esecuzione del montaggio, momento in cui l’opera acquista un senso e definisce nelle sequenze la compiutezza della costruzione del messaggio. In tutto questo, non avviene altro che la fusione in un unico concetto di due elementi molto diversi, che hanno determinato la realizzazione dell’opera: l’immaginazione, che appartiene all’idea spontanea e ingovernabile, e la metodologia di scrittura filmica, che regolarizza l’opera e la realizza nella concretezza.
“Apocalypse Now” (1979), diretto da Francis Ford Coppola, uno dei più grandi registi hollywoodiani, è un’epica rappresentazione della guerra del Vietnam, vagamente ispirata al romanzo di Conrad “Cuore di tenebra”, in cui i fatti bellici acquistano la dimensione di una grande metafora della vita umana e delle sue contraddizioni.
La realizzazione del film è nata da un’idea comune di due famosi sceneggiatori americani: John Milius e George Lucas.
Quest’opera di Coppola, che ha impiegato ben tre anni per realizzarla, appartiene ad un periodo di grande rinascita del cinema americano. Ricordiamo che la produzione cinematografica americana di quegli anni deriva da un decennio drammatico che va dalla contestazione di Berkeley alla fine della guerra del Vietnam, passando per l’esperienza hippie, nonché per le lotte antirazziste, la crescita della cultura underground, e di conseguenza il momento fu favorevole allo sviluppo di un cinema di forte impegno sociale.
E così, a partire dagli anni settanta la fucina cinematografica Hollywoodiana si ripresenta, dopo una fase che possiamo definire di crisi, sul mercato nazionale ed internazionale con opere cinematografiche stimolanti e socialmente vive, tanto da poter essere considerate validi mezzi di riproduzione o di trasformazione della realtà fenomenica.
Ed è appunto in queste circostanze sociali e politiche che nasce “Apocalypse Now”, film di denuncia, provocatorio, spettacolare, che lascia trapelare una particolare riflessione sui comportamenti umani.
Coppola, con “Apocalypse Now”, ha realizzato un’opera che nella sua spettacolarità, coniuga la particolare realtà legata al dinamismo dell’orchestrazione dei conflitti bellici con gli elementi costitutivi della natura umana artefice della guerra stessa, delle catastrofi umane.
Ed è proprio sulla base di questo concetto che “Apocalypse Now” può essere definito un capolavoro, un documento della storia del cinema, un’opera d’arte. Se definiamo opera d’arte qualcosa che si presta continuamente nel tempo ad essere interpretata, poiché stimolo di sensazioni, emozioni, idee, non sbagliamo nel considerare tale un film come “Apocalypse Now”.
Con uno scenario apocalittico di guerra, che ripropone un periodo molto triste della storia americana: Vietnam anno terzo, il film invia il suo messaggio ruotando intorno alla figura del capitano Willard (Martin Sheen), e alla diabolico-divinatoria presenza umana del colonnello Kurtz (Marlon Brando).
Benjamin Willard, capitano dell’esercito americano, è inviato ai confini della Cambogia per una missione segreta: uccidere il folle colonnello dell’esercito americano Walter Kurtz, perché sottrattosi ai comandi dell’esercito, si è autoproclamato dittatore di un villaggio della Cambogia.
Il viaggio lungo il fiume per Willard rappresenta un viaggio nella sua anima, una presa di coscienza degli orrori, dei dubbi, delle inutilità e delle gratuità che l’orchestrazione di uno spazio bellico comporta.
In guerra la mente umana cambia rotta: dal pensiero coerente e utilmente finalizzato, l’uomo raggiunge il delirio, la liceità di ogni sorta di nefandezza come gli stermini in massa di civili, crudeltà mai contemplate in altri momenti. Willard compie un viaggio nell’incubo, nella follia, entra in contatto con ogni sorta di animalità umana. E’ sua la voce narrante del film, come uno specchio implacabile che riflette l’altra faccia dell’io umano e fa comprendere cosa sia capace di fare in condizioni di totale liceità, come succede in guerra, in tutte le guerre.
Il punto focale del film è, però, il compimento della missione di Willard, ossia l’incontro faccia a faccia con il volto dell’orrore, l’impersonificazione del male, la barbarie, le tenebre: il colonnello Kurtz.
Ed è qui che viene fuori la grandezza del film, espressa nell’ibridezza di una narrazione che sintetizza alcuni dei generi filmici più importanti, dal bellico al noir, all’horror, fino al western e al documentario, reinventando attraverso un duplice processo la fiction, e la fiction tramite il mito. Si, perché Coppola, come vedremo, si avvale del mito nella caratterizzazione dell’emblematico personaggio di Kurtz.
Siamo di fronte ad una vera sintesi antropologica- visuale.
La ricerca da parte di Coppola di fonti culturali che sostenessero il filo conduttore su una narrazione che apertamente ponesse una critica alla cultura occidentale, e quindi alla civiltà dell’occidente, si attua con precisi riferimenti a testi di letteratura noti.
L’attraversamento del fiume asiatico in barca, da parte di Willard, è un chiaro riferimento al romanzo di Conrad “Cuore di tenebra”, pre-testo letterario del film, da cui ha tratto l’idea rappresentativa della discesa agli inferi e la spettacolarizzazione delle atrocità della guerra del Vietnam. Ma, anche l’opera di Nietzsche “Così parlò Zarathustra” nella sua concezione del “Superuomo” che si lega a sentimenti terreni, e “la Terra desolata” di Eliot nella sua tematica sulla disgregazione del genere umano attraverso il rigetto del bene, sono altrettanto visibili come riferimenti letterari.
 Nel momento in cui Willard approda sull’isola tiranneggiata dal colonnello Kurtz, non sa se si trova sprofondato nell’inferno o qualcosa di simile. Una voce, sulla terra ferma, attira la sua attenzione: è un americano, reporter, che diventa mediatore tra Willard e Kurtz.
 Il riferimento di queste scene a costrutti mitologici è palese. Coppola ha chiaramente chiamato in causa l’opera di Frazer “Il ramo d’oro” (tanto da inquadrare fugacemente il testo letterario nel finale!), proponendo nella fiction il rito della successione al potere del re-sacerdote.
Sconvolgente la scena che mostra in contemporanea il massacro del toro, ritualità sacrificale indigena, ed il massacro di Kurtz per mano di Willard, “Nulla potrà impedire all’uomo-Dio di invecchiare, indebolirsi ed infine morire” (James Frazer, Il ramo d’oro, pag. 309, Newton, 1992)
Willard compie la sua missione, uccide Kurtz, da lui atteso, per conquistare una sorta di purificazione per le crudeltà commesse. “Orrore, Orrore”, ultime parole da lui pronunciate prima di essere massacrato dalla falce stretta nelle mani di Willard.
E Willard, compiuto il rito dell’uccisione del colonnello Kurtz, sa che l’inferno non è molto dissimile da quel luogo, ma percepisce una verità scioccante: la barbarie umana è il prodotto della civiltà. Il pericolo non è nella natura, nella sua contrapposizione di luce e tenebre, ma il grande pericolo è nell’uomo stesso, che governa il potere sugli altri, e nella bramosia di terre da colonizzare ha trasformato la civiltà in barbarie, perdendo il senso vero e sublime del sentimento, del rispetto dell’uomo verso l’uomo, dell’essere “civile” nei confronti del selvaggio, attribuendogli, di comodo, quel “male” che non ha. E’ Kurtz la rappresentazione più infernale e apocalittica della civiltà! Ma Willard e Kurtz non sono molto dissimili. L’uno uccide sempre per la conquista del potere, magari al suono sconvolgente della “Cavalcata delle Walkirie”, inventandosi una morale di comodo. E l’altro, Dio supremo di una violenza sanguinaria e feroce per sete di un potere unico e assoluto, affida la successione della “divinità” a colui che gli si scaglierà contro per infliggergli il colpo mortale.
Coppola non fa trasparire alcun giudizio su comportamenti giusti o sbagliati. Egli prospetta i fatti così come sono, le persone sono caratterizzate dalla loro storia “umana”. La riflessione sulla ricerca di una possibilità per fermare il “progresso della civiltà” forse viene spontanea.
E’ l’inizio del film che purtroppo dà una risposta, aprendo con l’indimenticabile canzone dei Doors: “The End”. Rosalinda Gaudiano

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